Era una delle prime giornate calde dell’estate e nella cucina del ristorante si iniziava a sudare. Anche in sala faceva molto caldo, e infatti avevamo deciso di indossare le nuove divise estive.
A me andava decisamente stretta: il camice mi strizzava come una camicia di forza. Non mi sentivo a mio agio: mi specchiavo continuamente nel vetro del frigo dei gelati, cercando di capire come fare per non far notare i chili di troppo.
I clienti cominciavano ad arrivare:
“Buongiorno signor Marcello”.
“Buongiorno Laura, inizia a fare caldo” disse asciugandosi la fronte con il fazzoletto di stoffa.
“Eh sì, è arrivata l’estate e purtroppo non possiamo accendere l’aria condizionata”.
“Come mai?”
“Dobbiamo fare la sanificazione dei filtri. Il tecnico viene domani”.
“Ah va bene, per oggi sopportiamo il caldo”.
Il signor Marcello era uno dei nostri primi clienti e tutti i giorni, da trenta anni più o meno, veniva a mangiare da noi: ero molto affezionata a lui.
“Che belle le nuove divise!” disse il signor Marcello.
“Ha visto che bei colori?” risposi, senza alzare lo sguardo dalla calcolatrice e cercando di allentare un po’ il camice, tirandolo da una parte e dall’altra.
“Sì, sono molto belle e mettono tanta allegria”.
“Grazie, lei è sempre tanto gentile. Buon pranzo, signor Marcello, e a domani”.
“Grazie e buon lavoro a te”.
I clienti scorrevano con i loro vassoi pieni di piatti stracolmi. Non avevo pranzato, lo stomaco mi brontolava, avevo una fame assurda e tanto caldo. Alzai lo sguardo, in fila c’era Paolo, il cliente per me più affascinante. Tiravo il camice verso il basso illudendomi di coprire le mie rotondità. Gli preparai la sua solita acqua liscia fredda e la macedonia.
“Ciao Paolo, buon pranzo” mi affrettai a dirgli, facendo in modo che non si fermasse più di tanto davanti a me, tanto lui pagava a fine mese.
“Grazie Laura”, e se ne andò a tavola, strizzando l’occhio e sorridendomi.
Forse è soltanto una mia fissazione, forse non si nota poi così tanto, pensavo, continuando a fare i conti e a tirare il camice. Ecco Nella, sempre sorridente, con una longuette gessata che la avvolgeva in tutta la sua magrezza. E guarda quanto mangia! Beata lei, pensavo mentre le facevo il conto.
“Mi daresti una porzione di tiramisù alle fragole?” chiese Nella.
“Certo” le risposi porgendole il dolce.
“L’hai fatto tu, vero?”
“Sì sì” risposi con l’acquolina in bocca.
Lei si può permettere anche il dolce, pensai.
“Buon pranzo, Nella” le augurai con tutta l’invidia possibile.
“Buongiorno Cinzia, mangi solo l’insalata o aspetti altro dalla cucina?”
“No, mangio solo questo, con questo caldo mi si chiude lo stomaco e non riesco a mangiare”.
“Capisco, buon pranzo”.
No, non capisco invece. Possibile che solo a me l’appetito non manca mai?
I clienti in fila erano ancora tanti.
“Buongiorno signor Giovanni”.
“Ecco la nostra signora Laura. Come sei bella con questa divisa bianca e rossa!” disse, con quell’accento siciliano che rafforzava la erre e che mi piaceva tanto.
“Grazie Giovanni, è sempre tanto gentile. Lo prende il caffè, o anche oggi è nervoso?”
“Oggi lo prendo, ma tu sai come”.
“Come al solito, ristretto e schiumato. Buon pranzo” gli dissi dandogli il resto.
Mi ero un po’ rilassata; nessuno si era accorto del camice stretto e ormai anche sudato.
“Buongiorno Marco, scommetto che aspetti il petto di pollo alla griglia”.
“Ciao Laura, lo so che sono monotono, ma io adoro il vostro petto di pollo alla griglia”.
“Sì, ma non so come fai a mangiarlo tutti i giorni, prima o poi ti cresceranno le piume”.
“Me lo dice sempre anche mia moglie” disse ridendo di gusto.
“Ecco la tua acqua liscia a temperatura ambiente, e buon pranzo”.
Mi divertivo a scherzare con i clienti abituali. Con molti di loro si era creata una bella amicizia, tanto che spesso andavamo a cena insieme e con alcuni anche in vacanza.
“Ciao Emilio, metto un po’ di peperoncino sulla pasta, come piace a te?”
“Tu mi vizi, poi mia moglie è gelosa”.
“Maria non è gelosa di me, lo sai”.
“Ecco a te anche il tuo mezzo litro di vino bianco. Buon pranzo”.
“Grazie, e buon lavoro”.
Il servizio era quasi finito. Avevo iniziato a fare le registrazioni di fine giornata quando entrò un cliente. L’ultimo è sempre quello un po’ malvisto, ma questo era un cliente che non vedevo da tanto tempo. Mi faceva sempre piacere rivedere i vecchi clienti.
“Buongiorno, bentornato” gli dissi appena arrivò in cassa.
“Grazie”.
“Cosa le preparo da bere?”
“Un quartino di vino bianco frizzante e acqua gassata”.
“È tanto tempo che non ci viene a trovare!”
“Eh sì, sto lavorando a Roma e non sono più capitato da queste parti”.
“Basta che si sta bene e si lavori. Vuole altro?
“Sì, un caffè e una grappa”.
“Ok. Sono 15 euro, grazie”.
“Ti trovo ingrassata”.
Alzai lo sguardo dal registratore di cassa e fissai per qualche secondo quel cliente. Brutto ciccione che non sei altro, ma ti sei guardato, con quella pancia che a stento sta in quella camicia sudicia e con quei capelli ridicoli e unti?, gli avrei voluto rispondere. Ora, non è che io con questo cliente avessi mai avuto confidenza o amicizia; non era un cliente assiduo, e con lui avevo sempre scambiato battute convenevoli e di circostanza, niente di più. Come ti permetti, tu che non sai neanche il mio nome! Feci un respiro profondo e cercai di recuperare quel poco di autocontrollo che mi era rimasto: era pur sempre un cliente, e non potevo rispondergli male.
Stizzita, mi avvicinai come per fargli una confidenza e quasi sussurrando gli risposi:“Sa, ho una malattia abbastanza grave, sto facendo una cura di farmaci molto aggressiva e prendo anche molto cortisone. Questo è tutto gonfiore” gli dissi pizzicandomi il bicipite.
Lui, imbarazzato e forse anche dispiaciuto per la mia salute, balbettando disse: “Ah, mi dispiace, spero che vada tutto bene”.
Immagino quanto ti dispiace, brutto insolente! “Lo spero anch’io” gli risposi garbatamente e sfoderando uno dei miei migliori sorrisi.
Lui prese il resto, il vassoio e andò a tavola. Lo guardavo allontanarsi un po’ claudicante, soddisfatta della menzogna appena raccontata.
Più di una volta incrociai il suo sguardo compassionevole mentre mangiava, ma ero troppo contenta della mia piccola vendetta e poco mi importava se lui fosse preoccupato per me.
“Alla prossima, e spero di avere buone notizie” mi disse il ciccione andandosene.
“Arrivederci e grazie”.