IL GHETTO INTERIORE di Santiago H. Amigorena

IL GHETTO INTERIORE

di Santiago H. Amigorena

Ed. Neri Pozza

 

 

C’è una cosa che veramente mi piace fare: rovistare e curiosare nelle bancarelle del mercato che vendono libri, usati. Grazie ad una mia carissima amica, ho ripreso da poco tempo questa sana abitudine e, come posso, vado alla ricerca. Di cosa? Vi chiederete. Beh, chi rovista tra i volumi, aspetta il richiamo di quel titolo, o di quella copertina, o di quell’incipit particolare. Appena lo trova, lo agguanta e lo tiene ben stretto, per paura che qualcun altro, appassionato come lui, o lei, glielo sottragga.

Questo mi è recentemente successo con il libro che vi propongo questa settimana, Il ghetto interiore ha catturato la mia attenzione soprattutto per la casa editrice: Neri Pozza è una delle mie preferite. Poi anche per la frase in quarta di copertina:

 

“Una delle cose più terribili

dell’antisemitismo è non permettere

a certi uomini e certe donne

di smettere di pensarsi come ebrei,

è confinarli al di là del loro volere

in quell’identità, è decidere,

definitivamente, chi sono”.

 

In questo romanzo si vive la tragedia dell’ Olocausto da lontano: Vicente emigra in Argentina da ragazzo quando il sentore della tragedia era ancora molto flebile. Si sposa, inizia un’attività commerciale, esce con gli amici, fa la bella vita, è libero. Prova, senza molta convinzione, a farsi raggiungere dai suoi familiari, ma il ricongiungimento non avviene, non avverrà mai.

La corrispondenza con sua madre si affievolisce sempre più, finchè un giorno, all’inizio del 1940, Vicente riceve da lei una lettera drammatica. L’odio razziale in Polonia e nel resto dell’Europa è esploso, gli ebrei iniziano ad essere perseguitati, poi affamati, deportati e uccisi.

Il parallelismo tra il momento in cui il protagonista esce a cena con gli amici e nello stesso tempo i generali delle SS ideano il piano per sbarazzarsi di un milione di ebrei, è sconvolgente.

Le lettere sono sempre più sporadiche e devastanti, Vicente torna ad essere Wincenty; non più il marito, il dandy, il padre, ma solo Wincenty l’ebreo polacco.

Oltreoceano non si voleva vedere, o si faceva finta di non vedere ciò che stava succedendo in Europa, i fuggitivi superstiti portavano notizie talmente terribili alle quali gli americani stentavano a credere.

Ho letto tanti romanzi sulla deportazione e sull’ Olocausto, ma in queste righe c’è un valore aggiunto alla sofferenza: il senso di impotenza di Wincenty che lo condurrà poco a poco al mutismo e all’isolamento dagli altri, sfinito dal non essere in grado di fare qualcosa.

 

“Il ghetto è come un sacco di semi.

I tedeschi, di tanto in tanto, mettono la mano nel sacco e ne traggono un pugno.

I semi che sfuggono tra le dita, hanno un po’ di respiro”.

 

SINOSSI

Vicente Rosenberg arriva in Argentina nel 1928, con pochi soldi e una lettera di raccomandazione di suo zio . Si inserisce benissimo in quella liberà città, fa amicizie, si sposa, diventa padre e inizia a gestire il negozio del suocero. Non sa quello che invece sta succedendo in Polonia e non immagina minimamente ciò che di terribile succederà a sua madre e alla sua gente. Finché un giorno iniziano ad arrivargli delle lettere drammatiche proprio da sua madre, e il suo essere un ebreo polacco riaffiorerà e lo costringerà in un suo ghetto interiore.