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Mobilità sostenibile: una necessaria rivoluzione (anche) culturale

By Massimiliano Villani on 23 Luglio 2021
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Mobilità sostenibile: una necessaria rivoluzione (anche) culturale

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Qualche giorno fa è stato presentato dall’Amministrazione comunale pometina il nuovo servizio di sharing dei monopattini elettrici, offerto dall’azienda Link, facendo partire di fatto quella rivoluzione della mobilità sostenibile dell’ultimo miglio che un po’ in tutte le Città italiane ed europee è presente già da qualche tempo.

Al netto delle polemiche, direi quasi fisiologiche laddove ci si scontra con un fenomeno nuovo che va ad impattare sul quotidiano delle persone, è bene capire che la rivoluzione degli spostamenti sostenibili, in particolare quelli dell’ultimo miglio, è già partita all’estero e nei confini nostrani come parte di una più grande rivoluzione culturale che spinge all’intermodalità tra i vari mezzi (trasporto pubblico, trasporto privato, sharing di auto, bici e monopattini) e al contenimento dell’utilizzo delle automobili private alle reali necessità.

Non reggono più le solite (vecchie) contestazioni che ci ricordano che le nostre Città non sono come Amsterdam (che stava molto peggio di noi qualche decennio fa) o che ci vogliono convincere dell’assoluto primato dell’automobile privata (guardate le vittime provocate dalle auto o i dati sull’inquinamento, solo per fare un esempio).

Nemmeno regge la storia della pericolosità di questi nuovi mezzi, laddove è la responsabilità e il comportamento individuale e l’adesione alle normative (codice della strada) ciò che fa realmente la differenza (a prescindere dal veicolo utilizzato).

E’ stato tra le altre cose proprio il lockdown e questa terribile pandemia, contro la quale ancora oggi lottiamo, a farci comprendere (l’abbiamo davvero capito?) quanto sia importante un ambiente sano in cui vivere e una città a misura di persona e di pedone.

Basterebbe solo guardare quello che sta accadendo a Parigi, dove si sta studiando come riprogettare la città e renderla “a 15 minuti”, cioè come far sì che tutti i servizi siano a disposizione dei cittadini ad una distanza massima di 15 minuti in bicicletta o a piedi.

Ovviamente non si tratta di costringere le persone a stare nel proprio quartiere, ma di creare una organizzazione urbana più efficiente e più giusta, ridisegnando il contesto urbano e ripensando lo spazio pubblico con una visione più orientata alla mobilità dolce e sostenibile: in poche parole, mettendo finalmente al centro la persona e non più l’automobile.

Ma Parigi sta facendo molto di più, in questa che possiamo chiamare “svolta green-sostenibile”: entro la fine del prossimo mese di agosto, nelle strade della Capitale francese sarà esteso il limite dei 30 km/h, con le eccezioni della tangenziale e di alcuni boulevard, seguendo l’esempio di Bruxelles e di altre Città spagnole, dove da tempo si è abbassato il limite di velocità cittadina.

Già oggi oltre il 60% delle strade parigine hanno il limite dei 30 km orari e molte di queste si sono trasformate, diventando ad esempio a senso unico per dare maggior spazio a pedoni e biciclette.

Scelte sbagliate?

Assolutamente no, se si pensa che uno studio condotto a Madrid ha verificato una velocità media di 16,1 km/h nelle zone 30 e di 16,2 km/h nelle zone 50 e che si è notato che nelle Città con il limite a 30 km/h è diminuito il numero delle vittime e degli incidenti, c’è meno rumore, meno inquinamento, la qualità della vita è migliorata ed è diminuita la spesa pubblica e sociale dovuta agli incidenti stradali.

Scelte impopolari?

Forse, ma solo se la visione politica è quella di un miope.

Diverso il discorso se consideriamo l’attività di amministrazione di una Città come una programmazione a medio-lungo termine con una visione a 10 o più anni.

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