A duecento anni dalla morte di Napoleone niente di meglio che ricordare l’ode di Alessandro Manzoni Il cinque maggio visto che i posteri, cui spetta, l’ardua sentenza siamo proprio noi.
Studiata, amata e odiata, almeno le prime righe dell’ode manzoniana è ricordato a memoria da tantissimi di noi:
Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore
Orba di tanto spiro,
È curioso sapere che Alessandro Manzoni compose in soli tre giorni questo famosissimo componimento che rievoca la figura di Napoleone Bonaparte partendo proprio dalla sua morte avvenuta all’isola di Sant’Elena il 5 maggio 1821.
Tematiche centrali dell’ode sono la grandezza e la sconfitta di Napoleone lasciando proprio ai posteri l’ardua sentenza di valutarne le gesta.
E non potevamo esimerci da offrirvi la possibilità di leggere l’ode Il cinque maggio rinviando ancora per un po’ la sentenza di giudicare un imponente condottiero della storia europea e lasciandoci andare solo alla bellezza dell’ode del grande Alessandro Manzoni.
Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta.
muta pensando all’ultima
ora dell’uomo fatale;
nè sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruente polvere
A calpestar verrà.
lui folgorante in solio
vide il mio genio e tacque;
quando, con vece assidua,
cadde, risorse e giacque,
di mille voci al sonito
mista la sua non ha:
vergin di servo encomio
e di codardo oltraggio,
sorge or commosso al subito
sparir di tanto raggio:
e scioglie all’urna un cantico
che forse non morrà.
Dall’Alpi alle Piramidi,
dal Manzanarre al Reno,
di quel securo il fulmine
tenea dietro al baleno;
scoppiò da Scilla al Tanai,
dall’uno all’altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
l’ardua sentenza: nui
chiniam la fronte al Massimo
Fattori, che volle in lui
del creator suo spirito
più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
gioia d’un gran disegno,
l’ansia d’un cor che indocile
serve, pensando al regno;
e il giunge, e tiene un premio
ch’era follia sperar;
tutto ei provò, la gloria
maggior dopo il periglio,
la fuga e la vittoria,
la reggia e il tristo esiglio:
due volte nella polvere,
due volte sull’altar.
Ei si nomò: due secoli,
l’un contro l’altro armato,
sommessi a lui si volsero,
come aspettando il fato;
ei fe’ silenzio, ed arbitro
s’assise in messo a lor.
E sparve, e i dì nell’ozio
chiuse in sì breve sponda,
segno d’immensa invidia
e di pietà profonda,
d’inestinguibil odio
e d’indomato amor.
Come sul capo al naufrago
l’onda s’avvolve e pesa,
l’onda su cui del misero,
alta pur dianzi e tesa,
scorre la vista a scernere
prode remote invan;
tal su quell’alma il cumulo
delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
narrar se stesso imprese,
e sull’eterne pagine
cadde la stanca man!
Oh quante volte, al tacito
morir d’un giorno inerte,
chinati i rai fulminei,
le braccia al sen conserte,
stette, e dei sì che furono
l’assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
tende, e i percossi valli,
e il lampo de’ manipoli,
e l’onda dei cavalli,
e il concitato imperio,
e il celer ubbidir.
Ahi! forse a tanto strazio
cadde lo spirito anelo,
e disperò: una valida
venne una man dal cielo,
e in più spirabil aere
pietosa il trasportò;
e l’avviò, per floridi
sentier della speranza,
ai campi eterni, al premio
che i desideri avanza,
dov’è silenzio e tenebre
la gloria che passò.
Bella Immortal! Benefica
Fede ai trionfi avvezza!
scrivi ancor questo, allegrati;
chè più superba altezza
al disonor del Golgota
giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
sperdi ogni ria parola:
il Dio Che atterra e suscita,
che affanna e che consola,
sulla deserta coltrice
accanto a lui posò.
Social Media Manager e Scrittrice