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Il Colosseo e la ruota del pavone

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Pennellate su Roma e dintorni

 

Gira gira e fai la ròta…

Un’antica, tradizionale serenata dedicata a Roma ce la fa immaginare come un meraviglioso pavone, inconsapevole della sua stupefacente bellezza mentre fa la ruota, desideroso di andare in amore con la pavoncella che lo sceglierà…

E dunque, persi tra le sfumature dei colori, noi Itineranti corriamo col pensiero a un fulcro, a un punto fermo, a un degno aggancio da cui intraprendere l’impossibile narrazione di tanta bellezza, di tanta storia.

 

Moneta Gordiano III con riproduzione dell’Anfiteatro Flavio

 

Certo, ogni aspetto, anche minuscolo, che abbia a che fare con il multiverso romano può tranquillamente rappresentare l’inizio di un viaggio: uno dei ganci più efficaci è senza dubbio il Colosseo. Sì, l’Anfiteatro Flavio, detto anticamente Amphitheatrum Caesareum o solo Amphitheatrum.  Solo dal X – XI secolo, in pieno Medio Evo, fu denominato Coliseum e la zona veniva chiamata “Rota” (pensa un po’, come la ruota del nostro pavone…) o Regio Colisei.

Il “colosso” da cui deriva questo nome era un’enorme statua di bronzo dedicata a Nerone (37 – 68 d.C.), quando il nostro anfiteatro ancora non esisteva.

Esattamente al suo posto, si trovava un grande lago artificiale che riempiva un’enorme conca: passeggiando accanto al Colosseo, avremmo camminato sott’acqua!

Questo lago costituiva una delle “delizie” della Domus Aurea, la straordinaria dimora voluta da Nerone sul colle Oppio, congiunta al Palazzo imperiale sul colle Palatino proprio per mezzo del lago. Il Colosso di Nerone troneggiava accanto al lago con i suoi 35 metri d’altezza…

Alla morte dell’imperatore, ritenuto ormai solo un folle tiranno, si decretò la sua damnatio memoriae, ovvero la cancellazione di ogni cosa che ne ricordasse l’esistenza.

La zona cambiò rapidamente faccia grazie agli imperatori Flavi, Vespasiano e i suoi figli Tito e Domiziano.

Fu Vespasiano, dal 70 d.C., a intraprendere un’opera davvero faraonica, facendo prosciugare il lago e costruire il primo anfiteatro stabile di Roma, come un dono per i romani che, usciti da un’epoca buia, avrebbero potuto ormai divertirsi con gli “spectacula” loro preferiti, come i ludi, i giochi gladiatorii e le venationes, le scene di caccia e combattimento con veri animali, spesso esotici.

E il colosso di Nerone? Venne intitolato al dio Sole e l’imperatore Adriano nel 135 volle che venisse trasportato nella valle, accanto all’anfiteatro, il quale risultava solo un po’ più alto della statua. Nei secoli successivi si cominciò ad attribuire al monumento il nome Colosseo, storpiato in Colyseus.

 

 

Il luogo più famoso dell’antica Roma meriterà molte volte l’attenzione di noi Itineranti: mille sono gli argomenti di cui parlare intorno a questo, che è uno dei siti più illustrati e raccontati del mondo.

Eppure, incredibilmente, va detto che è anche uno dei monumenti meno esplorati dalle ricerche archeologiche e scientifiche. Questo dipende da molti motivi, che lo rendono “fragile” per il decadimento dei materiali costruttivi, sottoposti nel tempo a innumerevoli incendi, terremoti, violazioni, spoliazioni. Un limite è inoltre rappresentato dalle delicate condizioni idro-geologiche della valle in cui esso sorge.

Il Colosseo rappresenta una vera metafora dell’antico e della vicenda umana, attraverso l’identificazione con la fortuna di Roma e del mondo intero.

Un’antica e famosa profezia, riportata a noi da Beda il Venerabile, monaco, storico e santo anglosassone vissuto tra il 672 e il 735, recita così:

Quamdiu stabit Colyseus

Stabit et Roma

Quando cadet Colyseus

Cadet et Roma

Quando cadet Roma

Cadet et mundus

 

(Finché resterà in piedi il Colosseo, resterà in piedi anche Roma; quando cadrà il Colosseo cadrà anche Roma e quando cadrà Roma cadrà il mondo.)

 

E si dice che lo stesso Dante Alighieri, di cui ricorre nel 2021 il settecentenario della morte, si ispirò al Colosseo per l’elaborazione e la rappresentazione dei gironi infernali.

La ruota del pavone si chiude ora, come un sipario, sullo spettacolo dell’anfiteatro, sul quale torneremo di sicuro, più e più volte, con le nostre pennellate.

 

Dott. Maria Cristina Zitelli

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