Spesso diffido dei libri troppo “chiacchierati” dai social, ma stavolta gli occhi del bambino in copertina hanno avuto la meglio.
Il “Treno dei bambini” parla di povertà, di amore, di decisioni difficili, di partenze e ritorni.
L’autrice, con una forte padronanza di linguaggio e con uno stile che cattura fin dall’incipit il lettore, ci racconta di un viaggio che inizia nel 1946 e termina nel 1994.
Amerigo, il protagonista/narratore vive in una Napoli del secondo dopoguerra, una Napoli piegata ma non spezzata dalla crisi economica. Da questa Napoli parte con un treno pieno di bambini dei quali la maggior parte non è mai uscita fuori dal proprio rione. Amerigo è molto povero, ha le scarpe strette ed è senza cappotto quando si siede nello scompartimento diretto in Emilia Romagna, dove tante famiglie si sono rese disponibili ad offrire a questi piccoli spauriti, qualche mese di vita confortevole e di studio. Nella stessa Napoli il bambino ritorna due volte: la prima dopo quei pochi mesi di calore e benessere, la seconda nel 1994 da adulto, musicista affermato.
Poi c’è la madre, Antonietta, una donna sola e forte ma duramente provata dal lutto e dalla povertà. Una donna che, a dispetto delle male lingue, decide di far partire suo figlio su quel treno organizzato dai comunisti, un treno che non lo deporterà in Russia ma al Nord, dove forse ci sarà un futuro che lei non può garantirgli. Antonietta un figlio lo ha già perso, l’altro non sa se e quando lo rivedrà.
Nel treno con Amerigo partono anche Tommasino e Mariuccia, in tre si fanno coraggio l’uno con l’altro. Bellissimo il punto in cui il treno esce da una galleria e, con il naso incollato al vetro del finestrino, vedono per la prima volta nella loro vita, la neve. “ A’ ricotta, a’ ricotta…” grida Mariuccia.
Una volta arrivati però, i tre bambini vengono separati, si rincontreranno?
Veramente una bella penna quella di Viola Ardone, una penna che parla di mamme e di bambini coraggiosi, di miseria e sofferenza senza però risultare minimamente stucchevole.
Mia mamma va avanti e io appresso. Per dentro ai vicoli dei Quartieri spagnoli mia mamma cammina veloce: ogni passo suo, due miei. Guardo le scarpe della gente.
E’ il 1946 quando Amerigo lascia il suo rione a Napoli e sale su un treno.assiema a migliaia di altri bambini meridionali attraverserà l’intera penisola e trascorrerà alcuni mesi in una famiglia del Nord; un’iniziativa del Partito comunista per strappare i piccoli alla miseria dopo l’ultimo conflitto. Con lu stupore dei suoi sette anni e il piglio furbo di un bambino dei vicoli, Amerigo ci mostra un’Italia che si rialza dalla guerra come se la vedessimo per la prima volta. E ci affida la storia commovente di una separazione. Quel dolore originario cui non ci si può sottrarre, perché non c’è altro modo per crescere.
Appassionata di libri e cucina, frequento un corso di scrittura creativa. I miei scritti sono stati pubblicati in un’antologia, “Voci nuove” edita da Rapsodia.