Se ne è parlato tanto negli ultimi tempi, ma ancor di più in questo periodo di emergenza sanitaria da Covid-19. Siamo stati chiusi in casa per oltre due mesi, con la paura di ammalarci, di avere familiari colpiti dal virus e di perdere il lavoro (purtroppo in tanti lo hanno perso). Nelle giornate difficili che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, ci ha salvato e ci salva facendoci volgere lo sguardo al futuro, ad una possibile ricostruzione della nostra vita. Si tratta della resilienza, dal latino ‘resilire’ che significa rimbalzare, risalire, vale a dire quella capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici e reagire alle sfide della vita. Chi è resiliente non si fa piegare dagli ostacoli della vita, fronteggia le avversità, va avanti nel proprio obiettivo, guardando al futuro senza lasciarsi sopraffare. Non è una semplice resistenza, ma un processo dinamico che porta a una trasformazione personale. Si reagisce a traumi, delusioni e frustrazioni. Ci si piega al dolore, ma non ci si spezza. Nel linguaggio marinaro ‘resalgo’ indica il risalire nella barca dopo un urto o una forte onda che ci ha fatto finire in acqua.
Inizialmente il termine è stato utilizzato dalla fisica dei materiali per indicare la capacità di un corpo a riprendere la propria forma iniziale dopo una deformazione causata da un impatto. Poi è stato usato in altri ambiti come ingegneria, informatica, biologia e psicologia, dove indica la capacità di tirarsi fuori dalle esperienze difficili, che non avremmo mai voluto vivere, ma che ci sono capitate come una malattia, la perdita di un lavoro o la conclusione di un rapporto sentimentale. Per R.L. Collins (2009) la resilienza è la “capacità di adattarsi o riprendersi dopo delle avversità e sfide e connota la forza interiore, la competenza, l’ottimismo e la flessibilità”. Elementi genetici e innati predispongono la persona alla resilienza. E’ una qualità che tutti noi abbiamo ereditato dalla nostra evoluzione di primati. Se però non la coltiviamo e non la valorizziamo, rimane solo ‘in nuce’ dentro di noi, non si sviluppa; coltivandola, saremo sempre in grado, in caso di difficoltà, di superare al meglio la situazione e rafforzarci per vivere anziché sopravvivere. La resilienza può essere riparazione ma anche cambiamento, opportunità come la tecnica del “Kintsugi”, l’arte del restauro praticata in Giappone per riparare un vaso rotto. Non vengono nascosti i danni, ma si rimettono i cocci con una resina speciale mista a oro che rende visibili le crepe che vengono valorizzate nell’idea di rendere il vaso più bello di come era origine. Alcune piccole abitudini si possono sviluppare per potenziare la resilienza personale e ripartire come farsi guidare dallo stupore; meravigliarsi delle cose; sviluppare la creatività per esprimere se stessi; curare i rapporti interpersonali; magari solo con una chiacchierata telefonica; imparare cose nuove; praticare la flessibilità; prendersi la responsabilità di azioni ed emozioni; allenare il senso dell’umorismo, ottimo per alimentare l’ottimismo.
Senza dubbio la resilienza è un’ottima strategia per superare paura, ansia e tristezza di questi ultimi mesi e ritornare in forma a livello fisico e psicologico.
Sociologa e formatrice, romana, ma da tanti anni a Pomezia, mi occupo di
comunicazione, viaggi e scienze sociali soprattutto su tematiche inerenti l’infanzia, l’adolescenza e le questioni di genere.