Il virus comportamentale

Siamo immersi in un’emergenza che non vede la fine, per il contrasto a un nemico invisibile, ma inesorabile che non si può combattere con le armi convenzionali.

Se si fosse trattato di un nemico “vero”, con la divisa di un altro colore, con le insegne di una nazione diversi, con i tratti somatici diversi o semplicemente, attestato al confine, avremmo subito trovato orde di eroi volontari, di combattenti professionali, di strateghi delle aggressioni. Ma tutto ciò non serve: il nemico è invisibile e così minuscolo che non riesce a essere inquadrato nel mirino dell’arma letale più evoluta che ci sia.

Se fosse stato necessario, avremmo trovato la forza di costruire barricate, di armarci di tutto punto, di produrre la trovata geniale capace di annientarlo o persino di fare le giuste alleanze e definire le giuste strategie.

Ma questa è una guerra diversa. Non si combatte con la forza e la contrapposizione. Il miglior modo di “attaccare” il nemico è quello di “organizzare la difesa”. Ma in un modo diverso da solito, non ricorrendo agli strumenti della guerra.

È un nemico subdolo, spietato e persino vigliacco, che colpisce senza farsi notare e sa propagarsi senza essere visto, creando altre vittime.

Il solo modo per combatterlo è quello di “isolarlo”. Perchè quando viene isolato sappiamo come fermarlo e non ha più scampo. Non trova altre vittime e se combattuto a dovere si estingue.

Ma per poterlo isolare è necessario adottare scelte ben definite, non di natura tattica o strategica, ma comportamentale.

Questo virus, anche nella sua più spietata azione, potrebbe essere fermato in poco tempo se adottassimo comportamenti corretti e consapevoli, rinunciando a ciò che può farlo diffondere e creare altre vittime.

E qui la questione si complica. Se si tratta di intraprendere una guerra, si trovano schiere di volontari (già in esercizio grazie alla palestra dei social), ma se il contrasto consiste nell’adozione di comportamenti specifici che possono limitare la libertà di movimento, la questione si complica.

Tutti pronti a usare le armi, anche la più micidiali, ma profondamente impreparati e indisponibili a essere limitati nei comportamenti personali.

Già nelle fasi acute, mentre si aveva notizia di diverse centinaia di decessi al giorno, abbiamo assistito a persone che si ritenevano chiuse in gabbia se avessero rinunciato alla corsetta mattutina. Così come ad altre che non hanno smesso di frequentare locali o di girare senza meta, pur di non restare a casa. Per non parlare di chi, pensando di fuggire alle restrizioni imposte dalle norme, ha pensato di sentirsi furbo intraprendendo un viaggio verso terre lontane, portando l’epidemia a casa propria e alle persone più care, specie quelle anziane.

Nel frattempo gli ospedali si popolavano di persone infette e medici e infermieri erano costretti a sottoporsi a turni disumani, anche con il prezzo della propria vita.

Andare in guerra contro un nemico è più facile. Adeguare il proprio comportamento, rispettare i limiti imposti delle regole dell’emergenza, limitare, per un periodo, le proprie attività, assolutamente no.

Ed è per questa ragione che questa guerra fatichiamo a vincerla e non sappiamo se la vinceremo del tutto. E già si vede chi, invece di contrastare il virus combatte chi va al lavoro perchè non dovrebbe o chi non ci va, perché avrebbe dovuto, il poliziotto che lo ferma o quello che non ferma gli altri, chi si mette in viaggio per cercare un posto sicuro e chi invece non si fida e rimane a casa.

Se non adottiamo precise scelte comportamentali sarà impossibile sconfiggere il virus e si ripresenterà all’infinito. Ma “comportarsi” nel modo adeguato è impegnativo e non rientra nella nostra cultura.

In compenso troveremmo il modo per farci la guerra su ogni cosa, tra vicini, in famiglia, tra le istituzioni, tra il nord e il sud, tra il centro e la periferia, ecc., perchè quello ci riesce meglio.

Santo Fabiano