Ne avevo parlato qualche tempo fa in un altro articolo simile, ma vorrei rimarcare quello che, ad oggi, risulta essere la conseguenza di un utilizzo distorto della rete, in particolare dei social network.
“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli. La tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. Il dramma di Internet è proprio perché ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità”
Questo diceva Umberto Eco parlando ai giornalisti, durante la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media, nel 2015 a Torino.
E come si fa a non essere concordi con lui e con il fatto che l’uso distorto di questi strumenti disperde il grande potenziale positivo (soprattutto in campo comunicativo) dei social network?
Basterebbe aprire Facebook e leggere, ad esempio, le pagine di qualche gruppo per rendersi conto – ovvio ci vuole una media intelligenza e un pizzico di buonsenso – che nella società di oggi quel che veramente sembra contare di più è l’apparire.
Una società digitale basata in primis sugli stereotipi, cioè su quei concetti basati sul pregiudizio, soprattutto sull’influenza delle nostri azioni quotidiane, come l’essere categorizzati sulla scelta dell’abbigliamento, sullo stile di vita e sul modo di pensare.
E questo, purtroppo, vale ancor più per i giovani, per i quali pubblicare aggiornamenti sulla propria vita sembra essere diventato un obbligo, una moda e una distrazione dalla realtà.
Tra l’altro, i social media sarebbero alla base della depressione, sempre maggiormente diffusa tra i giovanissimi: uno studio pubblicato, proprio in questi ultimi giorni, dai ricercatori dal Sainte-Justine Hospital di Montreal, ha evidenziato in maniera nitida la correlazione tra l’inarrestabile incremento di sintomi depressivi e il tempo trascorso davanti allo schermo dei vari dispositivi elettronici.
Continuamente esposti a post o a filmati che esibiscono gioiosi contesti, i teen-ager si ritrovano costretti a cofrontare sempre le proprie condizioni quotidiane con quel che altri mostrano di poter fare.
Lo stesso studio di cui si accennava ha indagato anche sullo stretto rapporto che lega la depressione adolescenziale e l’esposizione prolungata alle differenti sorgenti visive digitali, attraverso un rigoroso metodo scientifico che ha preso in considerazione, per ciascun soggetto del campione, un periodo di almeno quattro anni.
La rilevazione, partita nel 2012 e conclusa nel 2018, è stata eseguita grazie ad un accordo con 31 istituti scolastici e ha garantito lo studio di oltre 3800 studenti, i quali hanno autonomamente riportato il numero di ore settimanali trascorse usando i social, giocando con i videogame e guardando la televisione.
I risultati sono stati, per certi versi, sorprendenti: le ore trascorse a giocare con i videogame, infatti, a differenza di quelle passate tra social e tv, non sembrano contribuire alla formazione di sintomi depressivi, anzi vengono definiti come “ottimi passatempi” provocando in genere allegria.
Molti studiosi hanno ribadito la necessità che i giovanissimi imparino cosa mostrare in rete della propria vita, acquisendo la coscienza della pericolosità di certe azioni, comprendendo i limiti tra l’intimo, il privato, il familiare e il pubblico.
E l’unica via d’uscita è rappresentata dalla formazione: seminari, corsi e magari introducendo l’ “educazione civica digitale” come materia scolastica nelle scuole dell’obbligo.
Un piccolo passo in avanti in questo senso è stato fatto già nel 2018 quando, nella lotta al cyberbullismo e alle fake news, il MIUR, al fine di educare i ragazzi alle regole di convivenza civile nella società digitale, ha presentato un Sillabo dedicato all’educazione civica digitale.
Una piattaforma tecnologica per fornire materiali e contenuti utili a coloro che vogliono imparare a vivere in modo civile la vita online, una nuova dimensione che aggiorna ed integra l’educazione civica tradizionale.
Il Sillabo è stato costruito in collaborazione con oltre 120 organizzazioni tra istituzioni, mondo accademico, società civile e altri attori impegnati – non necessariamente in campo formativo – nei temi in questione: tra queste, AGCOM, Garante per la Privacy e Mibact, Sky, Rai e molte Università e il CNR.
E’ composto di 5 parti.
La prima parte chiede alle scuole di sviluppare una generale comprensione del cambiamento, originato dalla convergenza tra tecnologie digitali e connettività; la seconda parte si rivolge all’educazione ai media e allo stare in rete rispettando l’altro a partire dal linguaggio.
La terza parte affronta l’educazione all’informazione per comprendere il profondo cambiamento in atto nel mondo dell’informazione con la rapida diffusione delle fake news; la quarta riguarda la raccolta e l’elaborazione sistematica di dati e informazioni, attraverso algoritmi e intelligenza artificiale; la quinta, infine, vuole sottolineare che i media digitali non sono solo strumenti, ma sono essi stessi oggetti culturali.
L’obiettivo finale è quello di formare cittadini in grado di partecipare attivamente alla vita democratica, attraverso l’uso consapevole delle nuove tecnologie: troppo spesso dimentichiamo che i giovani sono il futuro del nostro Paese e la loro tutela altro non è che la difesa del loro (e nostro) domani.
Nato a Napoli, cresciuto a Roma e residente a Pomezia ormai da quindici anni, giornalista pubblicista, mi occupo da sempre di comunicazione e sono convinto che l’impegno civico, unito all’amore per il proprio territorio, possa essere un grande stimolo alla crescita di una collettività partecipe e consapevole