le elezioni del 4 marzo e la “dissonanza cognitiva”

Tutto il Paese, riconosciamolo, sta vivendo un clima di profonda delusione: si avvicinano le elezioni politiche del 4 marzo e non si vedono le orde di appassionati in difesa del proprio partito. Ciò è certamente dovuto al sistema elettorale che, frettolosamente confezionate dagli stessi autori del precedente come rimedio al rischio del partito “pigliatutto” che pensavano di riuscire a esprimere, ha tradito ogni aspettativa annunciata perché, sicuramente non assicurerà la famosa governabilità all’indomani delle elezioni e produrrà, inevitabilmente, un accordo tra forze diverse.

Sarà uno dei soliti copioni in cui ciascuno dirà di essere contrario a entrare in governi dalla composizione mista, ma si troverà costretto a farlo nell’interesse del Paese. Così fece anche Napolitano, scrivendo una delle pagine più tristi della storia d’Italia, quando rimase al Quirinale oltre il suo mandato, invocando “l’interesse del Paese”… proprio mentre lo stesso Pese scendeva in piazza per protestare per questa decisione.

La questione è tutta qui: di quali interessi sentirsi portatori. Tutti lavoriamo per lo stesso Paese, che però va a rotoli. Come mai? Qualcosa non funziona! Ma dov’è che si inceppa il meccanismo?

Se scomodassimo i “motivazionalisti” (Maslow, Herzberg, ecc.) potremmo affermare che ogni persona è spinta dal desiderio di appagare un proprio bisogno (o rimuovere un ostacolo, direbbe qualche altro studioso, ma, più o meno è la stessa cosa). Ed è proprio questo ciò che ci fa diversi: la diversa percezione dei bisogni da appagare.

C’è chi avverte il richiamo dell’etica e interpreta ogni situazione nell’ottica del perseguimento dei valori comuni (o soprannaturali) e ne reclama l’applicazione, anche scandalizzandosi della mancata percezione degli altri. Ma c’è anche chi vive in modo più prosaico e avverte come valore il soddisfacimento di valori più immediati e direttamente rivolti al beneficio personale. Anche questi ultimi sono convinti di avere ragione e si scandalizzano se qualcuno non percepisce questa dimensione, proponendo altri temi come la legalità, la trasparenza o la correttezza.

Possiamo affermare, per usare l’espressione di Leon Festinger, che ci troviamo di fronte a un esempio di “dissonanza cognitiva”. Facciamo un esempio: se l’amministrazione comunale deve realizzare una innovazione tecnologica che richiede l’acquisto di servizi informatici, la stessa questione può essere interpretata secondo due diverse prospettive. C’è chi ci vede la possibilità di migliorare l’azione amministrativa ed è interessato di ricercare il fornitore che dia maggiori garanzie in ordine alla qualità della prestazione. Ma c’è anche chi vede, nella stessa situazione, l’opportunità di accontentare un amico fornitore a cui potere affidare il servizio, possibilmente, in cambio di un riconoscimento … che non è sempre di carattere “morale”.

La prima visione richiede un atteggiamento distaccato dagli interessi diretti e maggiormente proteso verso il conseguimento di finalità “alte”. La seconda visione, ufficialmente, non trascura le finalità della prestazione, ma si concentra sul fine della rete di amici da alimentare, fino al punto da mettere in secondo piano la prestazione, tant’è che non sino pochi i casi in cui costa più del necessario, non corrisponde a quella attesa o persino non si vede.

Tra le due posizioni ci sarebbe una bella differenza. Ma per poterla notare è necessario avere lo stesso punto di vista: il fine da conseguire. Ma se il punto di vista è diverso, si fa fatica a rilevare che ci sia stato un errore. Anzi, chi invoca trasparenza e correttezza, per difendere interessi “alti”, rischia proprio di apparire come il soggetto che si pone in contrasto diretto e “basso” con qualcuno.

Ed è inutile provare a cercare una mediazione. Sarebbe un dialogo tra sordi. Ognuno avverte l’altro come un nemico e ogni tentativo di mediazione finisce con lo scontro reciproco.

Lo stesso copione si pone il prossimo 4 marzo: da una parte c’è la maggior parte della popolazione, attonita per avere assistito alla recente produzione legislativa che regala miliardi ai titolari delle slot machine, ma fatica a trovare meno della metà delle somme condonate per evitare l’incremento dell’IVA, che regala altri miliardi alle banche, facendoli passare come soldi a vantaggio dei risparmiatori che invece hanno lo scopo di sanare i buchi lasciati da chi si è arricchito con i soldi che mancano, senza essere chiamato a risponderne, che introduce il canone Rai in bolletta e adesso proclama di volerlo abolire, ecc. che viene chiamata alle urne con l’intento dichiarato di risolvere i problemi del Paese (come se quei problemi li avessero creati altri, in tempi lontani). Dall’altra una schiera di persone in “competizione”, in nome della politica, con il solo scopo di raggiungere i posti di potere per lucrare ciò che si può, per sé e per i propri amici.

E’ come se noi affidassimo all’amministratore di condominio le risorse per gestire il palazzo e lui, pur se pagato per quello, utilizzasse la propria posizione per crearsi una rete di amici da favorire, fino al punto da trascurare i servizi richiesti dal condominio.

L’esempio calza a pennello, anche perché esistono amministratori di condominio che hanno questo vizietto. Ma è ancora più grave se l’interesse personale è esercitato con le insegne della Repubblica, nei palazzi del Governo, con il potere delle istituzioni.

Proprio adesso che i partiti hanno mostrato di non avere differenze di tipo ideologico, ma, alcuni contrario,  interessi comuni, nasce l’esigenza di rilevare questa importante differenza per comprendere se un politico appartiene alla schiera di quelli che crede nella missione pubblica per il perseguimento nell’interesse collettivo o se invece appartiene alla specie di quelli che vede la politica come occasione per garantire affari personali o di amici.

Sono due punti di vista diversi. E’ inutile scandalizzarsi ogni volta. E’ più serio prenderne atto e notare la differenza. I primi si sentono appagati dal miglioramento della vita collettiva, si circondano di persone che hanno bisogno e vivono in bolletta, intendendo la funzione pubblica come una importate occasione per contribuire al miglioramento delle condizioni di vita di tutti. E pensano che gli altri sbaglino e aspettano persino che prima o poi si ravvedano

I secondi pensano, invece, di avere la missione di non deludere gli amici di clan o di partito e ritengono nemico chiunque gli si opponga, anche attribuendo intenti persecutori o secondi fini a chi li ostacola. E anche questi pensano che gli altri sbaglino o siano persino stupidi e che, prima o poi, si ravvederanno, piegandosi all’evidenza del pragmatismo.

Questo è l’unico vero bipolarismo. Ma c’è poco da fare perché non c’è alcuna possibilità di mediazione, si tratta, davvero di “dissonanze cognitive”

Santo Fabiano