l’etica, il pragmatismo e il “sessismo strumentale”

Anche il caso Boschi-Banca Etruria ha fatto la stessa fine di ogni contesa del nostro Paese: il tema in gioco non è la verità sui fatti o la loro gravità, ma la posizione da prendere a difesa di qualcuno o contro qualcuno. Se, poi, nello scenario si affrontano personaggi già capaci di accendere animi e contese, i contenuti della vicenda perdono ogni significato per lasciare spazio agli schieramenti, come se si trattasse di una partita di pallone, ma senza il privilegio della “var” che, almeno, ha il vantaggio di fermare il gioco per consentire di vedere in faccia la realtà senza il condizionamento dell’emozione partigiana. Ma nel gioco, si sa, siamo più seri.

Tornando alla vicenda della ministra dalla faccia di ghiaccio, la questione che la vede protagonista, torna al centro della cronaca, proprio a seguito del confronto con un altro tipo dalla faccia di ghiaccio, Marco Travaglio. Entrambi sicuri dei temi che presentavano e assolutamente indisponibili a un confronto se non nelle forme della contrapposizione tra due tesi, come se si trattasse di temi lontani dal quotidiano.

In ogni caso, nel confronto tra i due, ospitato a La 7 e moderato da Lilli Gruber, (link in fondo alla pagina), finalmente gli italiani hanno avuto l’opportunità di capire quali accuse siano realmente mosse a Maria Elena Boschi, dal più accanito accusatore del mondo giornalistico e sentire dalla diretta voce dell’interessata le argomentazioni in sua difesa.

Dal confronto serale, onestamente, mi aspettavo di più. Ma soprattutto è emersa la fragilità di ogni confronto politico attuale. Le accuse, infatti, facevano riferimento a questioni di “etica” e di “opportunità”, temi sui quali non vi è più alcuna sensibilità ed è difficile registrare appassionamenti o atteggiamenti di scandalo. Gli argomenti a difesa, peraltro presentati con la sicumera di chi si è saputo muovere senza lasciare traccia, si muovevano, invece su un altro livello, quello prammatico, per il quale, tutto è lecito finché non si abbia la prova definitiva del contrario.

Il primo sa di antico, richiama i valori del vivere civile e richiede a chi amministra la giusta statura per poterli esprimere e (citando Giulio Cesare, sentitosi obbligato a ripudiare la moglie per la “ragione di Stato”) anche ad apparire. Chi amministra o governa deve essere in grado di raccogliere la stima e la fiducia dei cittadini, visto che questi ultimi affidano alle istituzioni le sorti del proprio futuro e del proprio presente, oltre a buona parte delle proprie risorse. Il pragmatismo, invece, punta alla concretezza, non conosce limiti valoriali e si manifesta invocando il beneficio del dubbio e l’attesa di giudizi definiti, in attesa dei quali, tutto è lecito, finché non vi sarà una condanna esplicita.

Certamente la ex ministra non ha firmato alcun documento, né inoltrato messaggi, con i quali manifestava il suo interesse o la preoccupazione per la banca di famiglia. E questo le basta per dire che nessuna verità può inchiodarla. Ma il comportamento “poco nobile”, già sfoderato in occasione del referendum disastroso, sul quale affermava di avere scommesso la sua carriera politica, senza poi sentirsi impegnata della promessa fatta pubblicamente, e l’alterigia, tipica di chi crede di amministrare la propria azienda e non il governo del Paese, sono il più grave trattamento che sia mai stato riservato al popolo italiano.

La vicenda esprime proprio questo: il governo del Paese è una questione di pochi e al popolo rimane solo la scelta di schierarsi da una parte o dall’altra, mantenendo, si intende, immutati gli obblighi di fedeltà alla Repubblica e di contribuzione fiscale.

Ma l’aspetto più patetico e “poco elegante”, che rivela l’assenza di un profilo da “statista”, è stata la sua intenzione di portare la questione su un altro terreno: la sua condizione di donna, recitando la parte della vittima di un complotto maschilista, con lo scopo di evitare i temi sugli interventi a favore della banche. Così, le accuse, le sarebbero rivolte, non per ciò che è realmente successo, ma perché donna (?) e chi l’accusa, in verità, avrebbe voluto corteggiarla, avendola invitata a casa, alle 8 del mattino, in solitudine.

Se fossi una donna proverei fastidio e indignazione per questo “sessismo strumentale” utilizzato come un jolly, che però rivela tutta la mancanza di argomenti migliori.

E’ stata una grave caduta di stile. Le donne meritano rispetto. Soprattutto quelle che sperano nella tutela della loro condizione, magari in famiglie problematiche o senza un lavoro o perché discriminate, sfruttate o sottomesse o costrette ad accettare lavori “da uomo” per riuscire a pagare le tasse necessarie a finanziare le “sofferenze” delle banche e le furbizie di banchieri amici e parenti. L’appartenenza al genere femminile non può essere invocata come scudo per difendere i propri interessi, né come argomento piccante per lanciare sospetti di corteggiamento sugli accusatori. Se fossi una donna prenderei le distanze da questa ingiusto utilizzo del proprio genere.

Da questi argomenti si misura lo spessore di chi ricopre gli incarichi di Governo e prendono forza persino i peggiori sospetti.

Non è una bella pagina della nostra storia. Speriamo di poterne uscire fuori in modo dignitoso e contenendo i danni.

Santo Fabiano

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