Il 5 maggio 2017 è una data che sicuramente ricorderemo tutti: l’incendio allo stabilimento “Eco X – Servizi per l’ambiente” di via Pontina Vecchia.
Un rogo terribile, sulle cui cause si sta indagando, che ha bruciato plastica e altri materiali, minando la nostra salute.
Il mio focus, però, non vuole essere centrato sull’incidente, ma sui risvolti mediatici e soprattutto social che si sono sviluppati fin dai minuti immediatamente successivi all’incendio.
Pomezia, in pochi giorni, per alcuni era diventata una città fantasma e sui social, in particolare su Facebook, montava la paura per una nuova Chernobyl in salsa agro-pontina: Associazioni, Onlus, giornali locali e chi più ne ha più ne metta, tutti insieme, a diffondere previsioni nefaste sulle salute dei cittadini, senza però avere conoscenza o leggere con la dovuta attenzione i dati ufficiali certificati degli enti preposti al monitoraggio dell’inquinamento, Arpa e Asl.
E questi dati, già dalle prime pubblicazioni anche sul sito del comune di Pomezia, fornivano invece segnali incoraggianti: nessuna anomalia, se non nelle immediate vicinanze del sito (raggio 2/300 mt.) e nelle prime ore dall’incendio.
Tutto sommato un qualcosa di normale e assolutamente prevedibile.
Ma sui social si faceva quasi a gara per ribadire “non è possibile, ci stanno nascondendo qualcosa”; oppure “non ci credo, sarò costretto a lasciare per sempre la mia Città”: una folle corsa del sensazionalismo 2.0, al costo di credere più ad una news su Facebook piuttosto che ad un Sindaco o a un’ente pubblico.
La testimonianza più incredibile di questo bizzarro comportamento è sulle notizie che rimbalzavano con cadenza giornaliera sulla presenza dell’amianto: l’amianto c’è, l’amianto non c’è, si è disperso nell’aria, è rimasto nel sito.
Inizia il ministro della Salute, che afferma la non presenza di fibre di amianto disperse nell’aria; sui social rimbalza invece la notizia “vecchia” della presenza di amianto sul tetto del capannone della Eco X…e allora vai con i post “non so a chi credere!”, oppure “ma l’amianto allora c’è o non c’è”.
Bastava leggere con un minimo di attenzione: l’amianto era sul tetto del capannone e incapsulato, ma non si era disperso nell’aria.
A distanza di due settimane dall’incidente, dopo l’iniziale voglia di protagonismo di tanti “tagliatori di teste”, attenti alla ricerca del responsabile invece che al superamento dell’emergenza, passata l’ondata social di coloro (sempre tanti) che “è sempre colpa della politica e degli Amministratori locali”e in attesa di conoscere l’esito delle indagini delle autorità preposte, il chiacchiericcio da catastrofe sembra quasi finito: l’unica aria irrespirabile da combattere davvero rimane quella dei social, troppo democratici nel concedere a tutti la possibilità di usare la tastiera e praticamente ingestibili per fare informazione o diffondere, almeno, un po’ di sano buon senso.
Nato a Napoli, cresciuto a Roma e residente a Pomezia ormai da quindici anni, giornalista pubblicista, mi occupo da sempre di comunicazione e sono convinto che l’impegno civico, unito all’amore per il proprio territorio, possa essere un grande stimolo alla crescita di una collettività partecipe e consapevole