I ragazzi dell’Istituto Massimo stanno costruendo una stampante 3D che usa come materia prima plastica riciclata e tappi di bottiglia per produrre protesi e pezzi di ricambio per ospedali africani. L’esperienza di questo primo progetto servirà ad indirizzare progetti successivi che hanno l’obiettivo di: “ridurre la dipendenza dalle forniture esterne,  potenziare i mercati locali, producendo beni personalizzati localmente” secondo quanto raccomandato dall’ONU.

I beneficiari saranno l’ Ospedale di Lacor-Uganda (la maggiore realtà non a scopo di lucro dell’Africa equatoriale) e il Centro Caritas di Kenge (Congo) che supporta gli ospedali della  provincia (dove il referente è un dottore italiano).

Una volta costruita dai ragazzi la stampante 3D sarà donata ai due ospedali che saranno in grado di  produrre autonomamente protesi e pezzi di ricambio con un impatto significativo sulla vita dei  pazienti.

Il progetto risolve un doppio problema locale, quello delle protesi e della logistica.

Si calcola che in Africa 24 milioni di persone nella aree disagiate hanno bisogno di protesi (più di 200.00 bambini in Uganda).  Solo il 2% riceve un aiuto  a causa dei costi proibitivi e della mancanza di tecnici ortopedici  (fonte Organizzazione Mondiale della Sanità). I bambini  hanno bisogno di nuove protesi ogni sei mesi.  In molti Paesi africani,  occorrono anni di risparmi per avere una protesi. I bambini  senza arti vengono spesso allontanati dalle famiglie e in certi casi addirittura bruciati, perché ritenuti  impuri. In Uganda è stato dimostrato  che,  con le stampanti 3D, è possibile creare protesi ad un costo inferiore ai 10$  (rispetto ai 300$ attuali ).

Con le stampanti 3D il tempo di produzione si riduce dai 6 giorni a 6 ore aumentando la capacità di lavoro dei pochi tecnici ortopedici disponibili nelle aree disagiate.

Secondo l’ONU, l’invio di materiali in aree disagiate è diventato critico per tempi, costi e rischi. Il trasporto dall’aeroporto all’ospedale in di Lacor in Uganda, per esempio, costa quanto lo stipendio di una infermiera per 7 mesi. La mancanza frequente di pezzi di ricambio negli ospedali africani “di frontiera” riduce la efficienza della risposta sanitaria con un  impatto sulla vita delle persone.

Il budget del progetto è di 22.800 euro. È stata recentemente lanciata una campagna di crowfunding sul principale sito italiano (EPPELA) raccogliendo nella prima settimana poco meno di 10.000 euro. Il progetto, promosso da Giuliano Zorloni  insieme a 15 Studenti dell’Istituto Massimo, alcuni professori e diversi professionisti ha visto anche la partecipazione di nostro amico Giovanni Tufani.  Il progetto, ha inoltre ottenuto l’avallo di PayPoste Crowd che verserà 5000 euro al raggiungimento di metà della cifra complessiva.