Gone Girl – L’amore bugiardo e diabolico di David Fincher

Amy, bella e scorbutica moglie di uno scrittore di successo scompare misteriosamente. Parte cosi la macchina dei media, che accende i riflettori impietosi sulle dinamiche familiari scandagliando la vita del marito Nick, che da vittima di un possibile ricatto diventerà presto il primo sospettato… Ma siamo certi che sia lui il solo a nascondere qualcosa?

Apprezzatissimo al Festival del Film di Roma due mesi fa, è uscito nelle sale italiane (forse intempestivamente visto il clima natalizio) Gone Girl, tradotto con un esplicito “L’amore bugiardo” che sa già di spoiler maldestro.

Un film diciamolo subito, appassionante, ricco di passione e suspance, con infinite sfumature di giallo che arriva dritto al cuore.

Locandina del film

Locandina del film

Analitico e suggestivo come sempre, il regista David Fincher pare interrogarsi sulla potenza e la suggestione a mezzo media e TV.

Una coltre di cameramen, anchorman e collegamenti televisivi occuperanno di fatto la scena, costringendo il marito della scomparsa a difendersi dai sospetti che sibillini i programmi televisivi instilleranno pian piano nell’opinione pubblica, raccontando quanto falsa, direi meglio televisiva può esser la vita di tutti i giorni.

Ma il film è soprattutto un thriller mozzafiato, pieno di sorprese e di colpi di scena che si susseguono in un crescendo di morte e di terrore, quasi un film in equilibrio tra Brian De Palma e Paul Schrader, senza scomodare come pomposamente qualcuno ha provato a fare a Roma in conferenza stampa il maestro Hitchcock.

Seppur molto ben diretto quindi, non entusiasmano a sorpresa i due protagonisti, un ingrassato Ben Affleck, in genere a suo agio dentro a personaggi misteriosi ma che qui sembra quasi imbambolato dalla storia e dal copione, mentre la rigida Rosamunde Pike non è affatto credibile come “femme fatale”.

Scena del film

Scena del film

Eppure il film sa strutturarsi e crescere di tensione anche, anzi, nonostante loro due.

Vincerà molto “Gone Girl” ai prossimi Golden Globe e all’Oscar, ci si può scommettere fin da ora su questa che appare una storia americana terribile eppure attualissima, pochi difetti (uno tra tutti l’eccessiva lunghezza che si sarebbe potuta sforbiciare con facilità a favore del ritmo narrativo) e una sezione tecnica perfetta, dove spicca la fotografia leggera e colorata di John Bailey a far da contraltare alla violenza e al rosso sangue di cui il film si ammanta.

Mauro Valentini